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Successione nella locazione ad uso abitativo per morte del conduttore 
L'art. 6 della l. n. 392/1978 indica vari soggetti quali aventi diritto a succedere nel rapporto locatizio, sia nell'ipotesi di decesso del conduttore sia in altre ipotesi legate ai rapporti familiari o a essi assimilabili (in relazione alla separazione, al divorzio e alla convivenza more uxorio). In particolare, il comma 1 della disposizione in commento prevede che, in caso di decesso del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi e i parenti e affini con lui abitualmente conviventi. La norma si riferisce al subentro nella locazione in ragione della morte del conduttore e non vi è spazio per un'estensione della norma a ipotesi differenti rispetto a quella indicata, tanto più, ove si ricostruisca la trasmissione della posizione contrattuale in termini di vocazione anomala e quindi come forma speciale di successione mortis causa, che si attua mediante un legato ex lege della posizione stessa. Tale norma non muta la natura del rapporto e del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma permette soltanto a un soggetto differente dall'originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del contratto, con l'attribuzione dei relativi diritti e assunzione delle obbligazioni che ne derivano. II beneficiario del diritto attribuito dall'art. 6 può anche rinunciarvi senza perdere la sua eventuale qualità di erede, trattandosi di un'attribuzione a carattere particolare che non può influire sulla chiamata all'eredità. In particolare, i successibili di cui al comma 1 dell'art. 6 citato subentrano nel contratto iure proprio, e non anche per diritto di successione ereditario, con la conseguenza che il rapporto locatizio viene separato dal complesso dei rapporti che fanno capo al defunto, e trasmessi agli eredi, per essere trasferito automaticamente a determinati soggetti tutelati dalla legge. Quetsa circostanza riveste un importante rilievo pratico poiché chi succede nella locazione ex art. 6 della l. n. 392/1978, citata, ma non subentra nel rapporto anche come erede, non dovrà rispondere nei confronti del locatore per canoni pregressi e per altre obbligazioni passate che riguardano il contratto di locazione, né potrà vantare diritti per la fase pregressa (in quanto soltanto l'erede sarà titolare dei relativi diritti e obblighi, sia dal lato passivo, in ogni caso, la norma in esame, trova applicazione anche se l'evento della morte riguarda un soggetto che sia in precedenza subentrato, ai sensi della stessa norma, nella posizione di conduttore, al conduttore originario, dovendosi escludere che la norma possa operare solo con riguardo alla successione, nella posizione di quest'ultimo (Cass. III, n. 3548/2013). In definitiva, per quanto concerne la successione nel contratto per causa di morte, può segnalarsi come i principi essenziali al riguardo si pongono in linea con quelli generali in base a cui, nei contratti che non sono conclusi intuitu personae, il decesso di una parte non fa venire meno il contratto succedendo gli eredi nei rispettivi diritti ed obblighi. Così, con specifico riguardo al contratto di locazione, può sottolinearsi che, qualora l'evento morte riguardasse il conduttore, i suoi familiari, conviventi, possono subentrare nel rapporto per proseguirlo fino alla scadenza naturale. Allo stesso modo, ed a fortiori, nel caso in cui la morte riguardi il locatore, i suoi eredi subentrano nel rapporto contrattuale, che proseguirà sino alla naturale scadenza.

L'occupazione abusiva di immobile 
L'occupazione abusiva è la condizione di chi si trova, in conseguenza di fatti di diversa natura, nel possesso o nella detenzione di un bene immobile altrui, senza averne alcun titolo giustificativo opponibile, di regola, al proprietario, e, quindi, in difetto di unojus possidendi o del diritto a detenere il bene: come accade, per esempio, per l'intervenuta scadenza del rapporto di locazione, o di comodato, o per accordi intervenuti in sede di separazione tra coniugi, relativi alla disponibilità della casa coniugale. Sul punto, va sinteticamente precisato che, a determinate condizioni, può essere oggetto di tutela anche lojus possessionis, e, cioè, il diritto a mantenere, in via cautelare, il possesso, a prescindere dalla sua origine, in forza del tradizionale principio secondo il quale, spoliatus ante omnia restituendus. In ogni caso, stabilire quale sia l'origine di tale condizione di occupazione abusiva è necessario, al fine di individuare quali siano le conseguenze giuridiche, e l'ambito della tutela del diritto ad ottenere la disponibilità del bene. Le fattispecie vanno dalla condizione di chi si introduce all'interno di un'immobile altrui, con o senza violenza su cose e persone, ma senza il consenso di colui che può disporne, al caso del conduttore o del comodatario che non intendano rilasciare l'appartamento in cui abitano, nonostante la cessazione del rapporto locativo o di comodato. Al riguardo, si usa distinguere l'occupazione abusiva in senso stretto, che difetta di un valido titolo giuridico fin dall'inizio, dall'occupazione abusiva in senso píù ampio, che si verifica nel caso di sopravvenuta cessazione di efficacia del titolo (al possesso od alla detenzione) esistente ab origine. 

L'occupazione in senso lato 
Della seconda categoria di occupazioni ("in senso lato") fanno parte gli occupanti, il cui titolo di detenzione o di possesso, medio tempore, è venuto meno, come accade quando il conduttore, il comodatario, il portiere del fabbricato, per quanto riguarda l'appartamento di servizio, si rifiutino di lasciare l'immobile dopo la scadenza pattuita nel contratto di locazione (o comodato) e contro la volontà del proprietario. In tal caso, le domande di rilascio di immobili detenuti senza titolo, in ragione della cessazione di un contratto di locazione, di comodato o affitto d'azienda sono soggette al rito locatizio cui all'art. 447-bis c.p.c., dal momento che in tal caso la mancanza del titolo non è originaria, essendoci stato in origine un contratto poi risolto o venuto meno per essere giunto a scadenza, e avendo l'obbligo di restituzione natura contrattuale. Si ritiene che il rito locatizio sia applicabile anche nel caso di domanda del conduttore, nei confronti del terzo occupante, che abbia leso suo diritto personale di utilizzo dell'immobile, mentre è comunque da escludere, in tutti casi in cui il rapporto controverso nasca da un contratto che ha come oggetto la disponibilità di un immobile, ma diverso da uno dei tipi individuati nell'art. 447-bis c.p.c., come per esempio in caso di contratto di appalto o di deposito, ovvero di un contratto atipico, di natura ricettiva (pensione, contratti di albergo, affittacamere, ecc.). In questi casi, l'illegittimità dell'occupazione consegue di regola alla cessazione dell'efficacia del titolo contrattuale che la consentiva, pertanto l'attore si farà carico di proporre la domanda perché il giudice disponga questa cessazione (e nel caso più ovvio, l'accertamento della scadenza del contratto). Sull'argomento, va anche detto che se l'azione è volta a ottenere l'adempimento dell'obbligo di rientrare in possesso dell'immobile, precedentemente trasmesso in base a negozi come la locazione, a prescindere dunque dalla qualità di proprietario, essa va qualificata come azione personale di restituzione, mentre nel caso in cui, invece, l'attore chiede di dichiarare abusiva e illegittima l'occupazione di un immobile di cui assume essere proprietario, non collegando la sua pretesa al venire meno di un rapporto obbligatorio, questa azione va qualificata di rivendicazione. L'esistenza o meno di un titolo legittimante l'occupazione di un immobile è fondamentale, sotto un duplice profilo: quello della natura dell'azione e quello del rito applicabile, dai quali conseguono rilevanti conseguenze sul piano probatorio. Se il titolo non sia mai esistito, il rito applicabile è quello ordinario finalizzato al rilascio o, in alternativa, il più celere rito sommario a cognizione piena, con istruttoria semplificata ex art. 702-bis c.p.c. Nel caso si renda necessaria però una tutela immediata del diritto, l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora legittimano il ricorso al procedimento ex art. no c.p.c.

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